La virtù perduta della verecondia

Del Prof.  Mitchell Kalpakgian (1 settembre 2016, Fonte: truthandcharityforum.org)

Anche se il termine “verecondia” non è più usato o sentito di frequente, San Tommaso d’Aquino usa questa parola nella sua esposizione sulla virtù della temperanza la quale governa gli appetiti e i desideri del corpo. La verecondia, naturale senso di pudore dell’uomo, reagisce all’uso o all’ostentazione immorale del corpo che degrada l’uomo a livello di un animale. L’Aquinate cita S. Isidoro, il quale definisce la virtù come “la paura di azioni ignobili” e cita Sant’Ambrogio, che la descrive come “l’orrore di ciò che è vergognoso.”

La temperanza, la facoltà di dominare i desideri dell’uomo in materia di cibo, bevande, piaceri e sessualità, riconosce la naturale distinzione tra l’uso ordinato e disordinato del corpo. Superando i vizi della gola, della lussuria, e gli impulsi della carne, la temperanza si sforza di raggiungere il giusto equilibrio di moderazione per mezzo della quale la ragione dell’uomo regola i suoi desideri e governa il corpo come un unico insieme. Con la temperanza l’uomo raggiunge l’equilibrio della moderazione che evita gli estremi del “troppo” e “troppo poco” (difetto e eccesso). Egli esercita la virtù della castità e della purezza nelle questioni che riguardano il corpo e riconosce il valore dell’astinenza e del digiuno. Ne “Le quattro Virtù Cardinali”, Joseph Pieper indica come frutto della temperanza la bellezza: “Bella è la temperanza non solo, ma di bellezza risplende il temperante. È pacifico che noi parliamo qui della bellezza presa nel suo senso originario: splendore del vero e del bene rifulgente da ogni essere nell’ordine.” Come la temperanza, la verecondia è un segno della bellezza raggiunta dall’anima che domina il corpo.

Prof. Mitchell Kalpakgian, professore di letteratura e scrittore
Prof. Mitchell Kalpakgian, professore di letteratura e scrittore

La verecondia, poi, riguarda il senso del pudore dell’uomo, la decenza, la purezza in relazione all’uso, l’aspetto e il significato del corpo. Una persona dalla sensibilità cristiana non discute apertamente con tutti, delle questioni intime, private, personali come fossero un argomento di informazione e di interesse generale da far conoscere a tutti. Alcuni argomenti di discussione appartengono alla conversazione tra una persona e il medico o tra una persona e un prete, non si affrontano a tavola o ad una festa. Alcuni argomenti, San Paolo spiega, non dovrebbero nemmeno essere menzionati nei discorsi pubblici: “Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra voi, come si addice a santi; lo stesso si dica per le volgarità, insulsaggini, trivialità: cose tutte sconvenienti.” (Efesini 5, 3-4). La verecondia ci ricorda sempre la distinzione tra il pubblico e il privato, tra ciò che è appropriato e ciò che è inopportuno, e tra il sapere lecito e il desiderio curioso. Poiché l’uomo è uno spirito incarnato con un’anima e un corpo, San Paolo rispetta il corpo come tempio dello Spirito Santo: “O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi?”(I Corinzi 6, 19). La verecondia, poi, appartiene alla dignità dell’essere umano e lo distingue dagli animali. Essa riflette il senso dell’uomo del rispetto di sé e l’attrazione per ciò che è nobile, onesto, bello, e di alti principi come la norma morale che benefica la natura dell’uomo. Tutto ciò che è disonorevole, indecente, vergognoso, o disgustoso è indegno dell’uomo, essere razionale e spirituale, creato a immagine e somiglianza di Dio.

La verecondia, tuttavia, subisce attacchi in diverse forme. Film che sono classificati (secondo il sistema americano n.d.t.) come: X (pornografici), R (vietato ai minori di 17 anni non accompagnati da un adulto) e persino i PG-13 (per la cui visione da parte dei minori di 13 anni è consigliata la presenza di un adulto) fanno ricorso a scurrilità e a scene di nudo come il normale prezzo da pagare per l’intrattenimento dello spettatore. La pornografia fiorisce come un industria che fattura miliardi di dollari mostrando immagini svilenti e ripugnanti in cui gli esseri umani sono ridotti ad oggetti da sfruttare. Le pubblicità televisive inappropriate che promuovono il Viagra e prodotti simili durante eventi sportivi televisivi offendono continuamente il comune senso della decenza. I programmi per la salute e l’educazione sessuale organizzati dalla Planned Parenthood nelle scuole pubbliche violano l’innocenza dei giovani in nome di un’informazione che intende presumibilmente proteggere la loro salute e ridurre il rischio di malattie. La contraccezione e l’aborto sono pubblicizzati presso i giovani come regole e pratiche desiderabili giustificate dalla legge del paese. La natura dei materiali didattici utilizzati in questo indottrinamento, così esplicita e brutale, urta e provoca disgusto per l’uso di immagini e termini volgari. La palese e spudorata propaganda dell’agenda omosessualista nei media e nelle scuole, l’arroganza dittatoriale secondo la quale non riconoscere la pratica omosessuale costituisce “incitamento all’odio” passibile di sanzione, e la legalizzazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso, calpestano tutte quante la natura della verecondia. Nulla dovrebbe mai offendere una persona “tollerante”. Per tali campioni di “tolleranza” la verecondia non è una virtù naturale, ma qualcosa di moralista e puritano.

Gli insegnamenti del Cristianesimo e di altre culture circa la purezza, il rispetto di sé, e la dignità hanno perso la loro autorità morale. Ciò che è deplorevole, impuro, o volgare non porta a nessuna stigmatizzazione e non provoca nessuna censura che susciti un senso di disgusto per la bruttezza dei mali, una volta etichettati come indicibili, orribili o innominabili. L’ultimo insulto alla verecondia è il decreto del governo che permette a uomini e donne di utilizzare i servizi igienici del sesso opposto a causa della loro presunta identità di genere, piuttosto che per il loro sesso biologico. In un mondo politicamente corretto in cui l’ideologia cancella il comune senso del pudore e della verità morale, nessun essere umano ha il diritto di opporsi a qualsiasi forma di espressione corporea o comportamento sessuale che trovi discutibile. Giudicare vuol dire essere prevenuti o bigotti. Le tradizioni della civilizzazione, i precetti morali della Bibbia e della Chiesa Cattolica, e persino la saggezza degli antichi non hanno alcun peso morale nello stabilire la norma dei significati di ciò che è decente e indecente, rispettabile e vergognoso, o attraente e spregevole. Nel De officiis, lo stoico romano Cicerone sostiene che discutere in pubblico delle funzioni corporee e del comportamento sessuale viola ogni senso del decoro: “noi non chiamiamo col loro nome né quelle parti né le loro funzioni […] Pertanto, se il fare quelle cose apertamente è indizio di spudoratezza, non è certo indizio di pudore il parlarne senza ritegno.”

Nel suo trattato sui doveri morali Cicerone difende il modello della verecondia elogiando l’ideale di “onorevole” e “decoroso”, spiegando che “è decoro ciò che è conforme all’eccellenza dell’uomo, in quanto la sua natura differisce da quella degli altri esseri viventi.”  I concetti di onorevole e decoroso impongono all’uomo la moderazione, e lo portano a confrontarsi con l’attrazione per ciò che è bello: “la natura ci assegna le parti della coerenza, della moderazione, della temperanza e della discrezione.” Proprio come la bellezza attira sempre l’occhio, Cicerone aggiunge, “così quel decoro […], suscita l’approvazione di coloro coi quali viviamo, in virtù dell’ordine, della coerenza e della temperanza che informano ogni nostro detto e ogni nostro atto.” (Libro I, § 98) Per Cicerone i concetti di “onorevole” e “decoroso” – il senso pagano del pudore e della decenza umana –  sono sempre intrinsecamente piacevoli e i loro opposti ripugnanti. L’uomo perde ogni senso dell’onore, della dignità, e della nobiltà quando abbandona il decoro del modestia come segno della natura elevata dell’uomo. Fare a meno di una giusta dose di modestia vuol dire anche fare a meno di un abbigliamento adeguato.

Come Shakespeare mostra nel Re Lear, nessun ordine morale può prevalere se la distinzione tra uomo e animale non è rispettata. Spesso l’unica cosa che separa l’uomo dagli animali è il decoro, il rispetto di sé, e la dignità riflessa nel modo di vestirsi. Quando le figlie ingrate di Lear chiedono che egli le visiti senza i suoi cento servitori, esse provocano l’ira del padre, che insiste sul fatto che i servi simboleggiano l’onore dovuto ad un re allo stesso modo in cui gli ornamenti e gli accessori di una donna accrescono la sua rispettabilità e il valore:

Ian McKellen, KING LEAR photo: Simon Farrell
Re Lear

“Bisogno” … Non si parli di bisogno.

I più grami tra i nostri mendicanti

hanno pure qualcosa di superfluo.

Se noi non concediamo alla natura

nulla di più del suo stretto bisogno,

diciamo allora che la vita umana

vale meno di quella d’una bestia.

Tu sei una gran dama:

se il tuo vestire dovesse consistere

solo nello star calda, qual bisogno

avresti di portare sontuose vesti,

che non son fatte per tenere caldo (Atto II Scena IV)

Lear sa che gli esseri umani hanno una natura elevata ed una inferiore. L’uomo può ridurre la sua vita a quella di una bestia sminuendo tutte le regole, le buone maniere, le cortesie, e le raffinatezze che distinguono gli uomini dagli animali. Le persone indossano abiti che non solo li tengono caldi ma che anche abbelliscono il loro aspetto e accrescono la loro dignità. Quando in una civiltà le persone osservano le formalità, hanno buone maniere e mostrano rispetto ai re e ai padri, la condotta umana è nobilitata e affinata ed essa è salvata dall’istinto animale dell’egoismo individuale. La verecondia equivale ai servitori di Lear e all’abbigliamento regale che si addice alle figlie di un re. Essa innalza la statura di un uomo al rango di persona che merita onore per mantenere i più elevati canoni del buon gusto che contraddistinguono un signore e una signora.

Nella frase di Lear, “la vita umana vale meno di quella d’una bestia” egli ignora la linea che separa l’appropriato dall’inadeguato, il nobile dalla ignobile, e il modesto dall’indecente. Proprio come l’occhio è stato creato per contemplare la bellezza e per guardare, così il corpo è stato fatto per essere rivestito da un abbigliamento di buon gusto e per essere gradevole, e allo stesso modo l’uomo è stato creato per stare in piedi ed essere simile a Dio e innalzarsi sopra gli animali, perciò la natura dell’uomo è dotata di pudore per reagire e ribellarsi contro tutto ciò che svilisce, svaluta, o compromette l’onore dell’uomo, il rispetto di sé, e la rettitudine. Proprio come le buone maniere costituiscono la base per la morale e la religione abitua le persone ad essere cittadini rispettosi della legge, così la verecondia innalza il livello morale e si oppone alla degenerazione di una società che non ha alcun senso della vergogna, della modestia, della purezza o alcuna idea di ciò che è conveniente e onorevole.

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