Il diritto a non essere costretti a morire da soli

Di Joseph Meaney (Fonte: www.ncbcenter.org)

 

Mentre la storica pandemia di COVID-19 si sta intensificando in tutto il mondo e vengono ripristinate in Europa e non solo, misure di emergenza draconiane, vedo l’urgente necessità di rinnovare una difesa del diritto dei pazienti a non essere costretti a morire da soli negli ospedali o nelle case di cura. La missione del National Catholic Bioethics Center (NCBC) si focalizza soprattutto nella difesa della dignità della persona umana. Le politiche eccessivamente restrittive di visita ai degenti e il negare l’accesso ai sacramenti di molti ospedali e di altre istituzioni, durante questa pandemia, hanno portato a tragedie e violazioni dei diritti umani.

Credo che due visioni del mondo e due antropologie opposte si stiano scontrando. Una visione umanista laica estrema ritiene che salvare la vita fisica di una persona sia l’unica cosa che conta veramente. Spesso questa prospettiva è abbinata a una filosofia utilitaristica o consequenzialistica per la quale si dovrebbero aiutare il maggior numero di persone, anche se vengono commesse alcune ingiustizie come sacrificare i membri della società anziani, fragili o allo stesso modo “meno produttivi”. La prospettiva cristiana sull’assistenza sanitaria riconosce l’importanza fondamentale della cura spirituale e della presenza dei propri cari piuttosto che curare solo il corpo. Prendersi cura della salute spirituale ed emotiva di un paziente ha forti implicazioni come parte essenziale della visione cattolica dell’assistenza sanitaria. La Chiesa ha inoltre sempre respinto con forza ogni forma di ragionamento del tipo “il fine giustifica i mezzi”. Non dovremmo mai compiere attivamente il male o un’ingiustizia per raggiungere un obiettivo buono.

In situazioni estreme come la pandemia COVID, c’è la tendenza a consentire che la paura domini sulla ragione. Vivere una vita umana normale implica correre dei rischi. Non esiste un’attività a rischio zero. Se guidi un’auto, c’è un piccolo rischio di fare un incidente. Se ti alzi la mattina, potresti scivolare in bagno…l’elenco è infinito. Moralmente siamo chiamati a usare mezzi ordinari e precauzioni ragionevoli per preservare la nostra vita senza smettere di adempiere alle nostre responsabilità quotidiane. Penso che sia importante ribadire questo punto quasi scontato perché il desiderio di ridurre quasi a zero il rischio di trasmissione della malattia ha portato alla violazione dei diritti fondamentali.

All’inizio della pandemia non sapevamo esattamente quanto sarebbe stata mortale la malattia e non conoscevamo i modi migliori per trattarla. C’era una mancanza di dispositivi di protezione individuale (DPI) e il timore che avremmo finito i ventilatori, i letti di terapia intensiva e così via. Questa mancanza di conoscenza e preparazione giustificava azioni straordinarie come i lockdown che abbiamo sperimentato e la sospensione della maggior parte degli incontri. Nel tempo, tuttavia, abbiamo visto che con un buon trattamento le persone di età inferiore ai 70 anni e senza patologie pregresse hanno una probabilità molto inferiore all’1% di morire si ammalano di COVID. Negli ultimi mesi c’è stato un costante aumento della disponibilità di DPI e di altri materiali necessari. I progressi sono stati anche piuttosto rapidi nello sviluppo di vaccini, un risultato notevole perché in passato non era mai stato creato un vaccino efficace contro il coronavirus.

Dico tutto questo perché mostra come gli attuali rischi affrontati dalla popolazione generale e da chi si trova negli ospedali, siano inferiori a quanto originariamente temuto. In ogni caso, rischio o no, siamo tutti d’accordo che le attività essenziali debbano continuare seguendo tutte le ragionevoli precauzioni di sicurezza. Dobbiamo tenere a mente che lockdown e le politiche draconiane di visita non impediscono soltanto alle persone di contrarre una malattia, ma hanno un costo in vite umane. Un aumento della disoccupazione, ad esempio, porta a un incremento documentato dei tassi di suicidio. L’isolamento fa male alla salute mentale. Mi è stato riferito che diverse persone anziane, che si trovano in case di cura, perdevano la voglia di vivere quando non potevano più vedere i membri della famiglia di persona a causa delle restrizioni per il COVID. Penso che dovremmo tutti tenere a mente il principio etico di base secondo cui non è accettabile che la cura sia peggiore della malattia.

La nostra fede ci insegna che alcune cose sono mali peggiori della morte fisica. La gloria dei martiri è che hanno scelto di morire piuttosto che commettere peccato. La nostra vita eterna conta molto di più della nostra vita fisica. Questa è una credenza cattolica assolutamente fondamentale. Questo è il motivo per cui avere un sacerdote che viene e conferisce gli ultimi riti è più importante per un cattolico che minimizzare il rischio di esposizione al COVID impedendo ai sacerdoti di entrare negli ospedali o nelle case di cura. Ovviamente, possono e devono prendere precauzioni di sicurezza, usare DPI e così via, ma non dovrebbe essere totalmente vietato loro di andare dai pazienti che chiedono e implorano gli ultimi riti. I fedeli hanno diritto ai sacramenti e i diritti alla libertà religiosa sono diritti umani riconosciuti. Non possiamo sederci e tollerare politiche che violano i nostri diritti umani. L’Ufficio per i Diritti Civili della Salute e dei Servizi Umani sotto l’amministrazione Trump lo ha capito. Potrebbe diventare una questione su cui spetta ai tribunali pronunciarsi in una nuova amministrazione.

È altrettanto vero che non permettere ai propri cari di dare l’ultimo saluto ai loro familiari o di essere al loro fianco quando muoiono è un terribile fardello da imporre. Un approccio equilibrato peserebbe sia i rischi che i benefici per gli individui e i pazienti. Viviamo in un’era che valorizza l’autonomia e il consenso informato come considerazioni etiche non illimitate ma comunque fondamentali. I pazienti e i loro familiari dovrebbero avere voce in capitolo in materia di limitazioni delle visite. Le precauzioni per la sicurezza e la compassione possono essere armonizzate per trovare compromessi accettabili. Dati i fatti di questa pandemia, negare semplicemente tutte le visite è una politica irragionevole. Sono in gioco valori e diritti umani e religiosi molto concreti. Non vorrei avere sulla coscienza la colpa di aver costretto una persona a morire senza la presenza della famiglia o il beneficio dei sacramenti.

 

Dr. Joseph Meaney, Presidente de "The National Catholic Bioethics Center"
Dr. Joseph Meaney, Presidente de “The National Catholic Bioethics Center”
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