“Ti hanno affidato la loro vita e tu gliela prendi”

di Daniele Sebastianelli

Martedì 6 giugno si è tenuto a Roma un incontro con i giornalisti presso la Sala Stampa Estera, sul tema del controverso Disegno di legge sulle DAT (Dichiarazioni Anticipate di Trattamento), meglio conosciuto come Testamento Biologico, attualmente in discussione in Parlamento. Alla conferenza stampa organizzata da ProVita Onlus ha partecipato anche il Segretario della Stampa Estera, Christopher Warde-Jones, e ha visto come ospite d’eccezione Kristina Hodgetts, l’infermiera canadese diventata paladina della difesa della vita dopo anni di impegno attivo nella pratica dell’eutanasia.

 

Toni Brandi, presidente dall’Associazione ProVita Onlus ha aperto l’incontro osservando come “negli ultimi tempi si stia facendo molta confusione su questo tema nel dibattito pubblico. Molti fautori di questo DDL si servono di storie pietose e estreme come quella di DJ Fabo che non riguardava le DAT ma il suicidio assistito, per impressionare la politica e l’opinione pubblica”. Questo, ha continuato Brandi, “è una vera e propria strumentalizzazione di persone che soffrono”.

Brandi ha puntato il dito contro l’errato presupposto fondamentale del DDL sulle DAT. “Il paradosso di questa legge si palesa di fronte a un concetto tanto semplice, quanto chiaro e insindacabile: nessuno ha la sfera di cristallo per sapere in anticipo come reagirebbe di fronte a una malattia grave o a una disabilità. Molto spesso, quando ci si trova in queste situazioni estreme, le prospettive cambiano e si manifesta un forte, naturale desiderio di vivere. Di fronte a queste considerazioni, come si può pensare di affidare a un pezzo di carta il proprio futuro anche a lungo termine?”.

“Firmando le DAT – ha concluso Brandi – si rischia di commettere un errore irreversibile, scontandone le conseguenze soltanto nel momento in cui sarà impossibile fare un passo indietro”.

 

Dal canto suo Alessandro Fiore, portavoce di ProVita Onlus ha presentato un’analisi tecnica del DDL sul testamento biologico, enumerandone le principali criticità, contraddizioni e incongruenze.

Secondo Fiore il DDL opera una rivoluzione rendendo il diritto alla vita un diritto praticamente disponibile, “attribuendo priorità al principio di autodeterminazione”. “Se il DDL venisse approvato – osserva Fiore – avremmo la seguente contraddizione: per un documento (le DAT), che può in qualche modo trasferire la persona dalla vita alla morte, è sufficiente una semplice scrittura privata, mentre per trasferire un autoveicolo o un immobile è sempre richiesto l’atto pubblico”. La pericolosità, inoltre, sta nel fatto che esso vincola i medici e le strutture sanitarie. “Contiene l’obbligo per il medico – osserva Fiore – di rispettare la volontà del paziente di rifiutare o rinunciare al trattamento sanitario, escludendo in questa ipotesi la responsabilità civile e penale del medico”. Quindi “comportamenti che fino ad oggi potevano comportare responsabilità penale del medico, per avere ad esempio fatto morire di disidratazione un paziente non terminale, dopo l’eventuale entrata in vigore del DDL, diverrebbero addirittura obbligatori per il medico”.

Persino nei paesi che hanno introdotto l’eutanasia, fa notare Fiore, come l’Olanda, il Belgio e il Lussemburgo, il testamento biologico non vincola il medico. Fiore ha anche messo in luce uno dei punti più gravi del DDL: il fatto che venga surrettiziamente introdotta una forma di eutanasia omissiva non consenziente per i minori e le persone incapaci. “Se questa legge passasse diventerà possibile che il rappresentante e il medico facciano morire di disidratazione un minorenne che non abbia espresso alcuna volontà di morire”.

 

Kristina Hodgetts ha raccontato la sua storia: prima infermiera nell’esercito canadese, poi capo infermiera in un dipartimento d’emergenza. Infine, Direttrice degli infermieri in una casa di cura.

È qui che il suo lavoro cambia. “Dal dare tutto per salvare i pazienti e ogni singola vita, si passò all’accelerare i processi di morte, nel modo più efficace, nel modo più sicuro”.

Un salto fatto “in buona fede” e “per ridurre il dolore”. Ma, progressivamente e surrettiziamente, il dare la morte divenne una routine. Divenne abbruttente come solo l’indifferenza può essere. “I pazienti non erano più persone; parlavamo davanti a loro come se non esistessero, i paramedici controllavano le direttive anticipate prima di rianimare o no il paziente, per proteggersi dalle potenziali responsabilità. Era diventata normale amministrazione. Avevamo perso il vero senso del nostro lavoro”.

Il primo dubbio emerge con una donna, fragile e vecchia. Avviene il ricovero, la perdita di coscienza, la ricetta del medico “morfina; sospendere cibo e acqua” e le frasi delle colleghe: “speriamo muoia prima di svegliarsi di nuovo”. Non era crudeltà. “Eravamo tutti convinti che fosse la cosa migliore”. Solo che la signora non vuole morire. Succhiava acqua dalla spugna appoggiata alle labbra. Quella donna impiegò nove giorni a trapassare, a morire di sete e fame.  A Kristina rimasero impresse le parole di una giovane collega del turno di notte: “Che cosa stiamo facendo?”.

Poi ricapitò: ancora una volta una donna anziana, questa volta per un piccolo ictus. Una figlia disperata, un figlio, unico fiduciario, che avalla la fine. La figlia rimase al fianco della madre finché i polmoni non “affogarono” nella morfina.

È qui che Kristina si ribella.  Qui cominciano a salire dalle profondità le parole trattenute per troppo tempo: “Non è giusto togliere la vita a un essere umano. Non è giusto decidere quando deve morire. Ci sono altri modi di affrontare il dolore che non siano sopprimere e togliersi il pensiero”.

Ma per Kristina non era ancora il momento di pronunciarle a voce alta. Sebbene iniziò a contrastare la nonchalance con al quale vedeva le persone “accompagnate” a morire, un’altra prova l’attendeva: “Ritrovarsi dall’altra parte del letto, in coma”. Non fosse stato per il marito “mi avrebbero uccisa”.  Solo dopo il risveglio, è iniziata per lei una nuova vita: una missione di racconto nella Coalizione per la prevenzione dell’Eutanasia (di cui oggi è vice presidente).

Kristina, raggiunge, nonostante la paresi parziale, chiunque voglia ascoltarla e racconta la sua storia e, soprattutto, la sua paura che succeda anche in altri Paesi quello che ha visto accadere in Canada.

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