Conferenza-stampa di ProVita onlus contro le DAT

di Daniele Sebastianelli

Nel dibattito intorno al disegno di legge sui DAT (Dichiarazioni Anticipate di Trattamento) che a breve verrà discusso alla Camera dei Deputati, si è inserito con forza il mondo pro-life determinato a non lasciare campo libero ai dispensatori di ideologia ma a far contare la propria voce sul tema. Lo ha fatto l’associazione ProVita Onlus con una conferenza stampa tenutasi giovedì 16 febbraio, proprio alla Camera dei Deputati, lasciando la parola ai protagonisti delle situazioni (lo stato vegetativo, il coma, la malattia grave) che sono spesso invocate nel dibattito sull’eutanasia e sulle DAT.

L’incontro è stato introdotto e moderato da Toni Brandi, presidente di ProVita onlus, che si è detto disgustato dal fatto che nel ddl sulle DAT si prevede la possibilità di disporre la sospensione dell’idratazione e dell’alimentazione, vincolando, di fatto,  il medico – in quest’ipotesi – a uccidere per omissione. In pratica, secondo il Disegno di Legge in questione, chiunque decidesse di avvalersi di delle “Dichiarazioni Anticipate di Trattamento”, darebbe disposizioni al medico di mettere in atto la volontà dell’assistito qualora dovesse trovarsi, in futuro, in uno stato di incoscienza, incapace di poter scegliere da solo. Volontà che comprende anche la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione. Senza che il medico possa fare obiezione di coscienza, costretto così a mero esecutore di un’eutanasia omissiva (pur non nominando mai la parola “eutanasia” nel ddl). Si ripeterebbe, dunque, quanto già accaduto anni fa con Eluana Englaro, la donna morta di fame e di sete nella “clinica “La Quiete” di Udine.

In questo clima si è inserita anche l’ammissione di Eugenia Roccella, deputato del Nuovo Centrodestra, che ha riferito sulla situazione del DDL in aula, con sessioni notturne alla Camera per far saltare gli emendamenti ed evitare così il dibattito.

Numerose sono state le testimonianza di persone direttamente coinvolte nella lotta contro l’eutanasia. Sylvie Menard, ricercatrice oncologica ed ex allieva del prof. Veronesi, un tempo favorevole all’eutanasia, dopo aver redatto un testamento biologico scoprì di avere un cancro inguaribile al midollo osseo. Da quel momento la sua prospettiva sulla vita e la morte è cambiata radicalmente, diventando una ferma oppositrice dell’eutanasia e del testamento biologico.

Roberto Panella, un uomo entrato in coma dopo un incidente, ha rivelato come, sebbene in stato di apparente “incoscienza”, sentiva le discussioni del personale medico sul fatto di lasciarlo morire. Oggi è testimone della lotta per la dignità di ogni vita, anche quella che si trova in coma.

Pietro Crisafulli, fratello di Salvatore Crisafulli, la cui vita e il cui risveglio dallo stato vegetativo sono raccontati nel film “La voce negli occhi”, ha raccontato l’esperienza di vita con suo fratello. Grazie al lui e alla sua situazione, Pietro ha compreso l’assurdità dell’eutanasia che non rende assolutamente meno “degno “ di vivere chi si trova nella disabilità.

Altri due racconti di protagonisti hanno profondamente toccato il pubblico presente. La storia di Sara Virgilio che dopo un terribile incidente causato da un pirata della strada è andata in coma con il 99,9% delle possibilità, date dai medici, di non farcela, o comunque di non poter recuperare una vita “normale”. Sara non solo è uscita dal coma, ma è riuscita a realizzarsi pienamente nella vita, sia nella sua carriera universitaria che professionale. Eppure, chissà quante persone davanti ad una prospettiva del genere, disponendo delle “DAT” avrebbero lasciato scritto di voler morire per disidratazione?  Poi cè la storia di Max Tresoldi che, dopo un gravissimo incidente, è anche lui entrato in coma e poi in stato vegetativo. I genitori di Max l’hanno circondato di cure e hanno sempre cercato di comunicare con lui, anche se molti medici e infermieri continuavano a ripetere che “era inutile”. Max però si sveglia dallo stato vegetativo dopo dieci anni, e gradualmente comincia a comunicare con piccoli gesti. Il padre ha letto una lettera in cui, prima dell’incidente, Max aveva dichiarato di non voler vivere nell’ipotesi che si fosse trovato in uno stato di grave compromissione psicofisica: ma da quando a Max è toccato vivere effettivamente questa esperienza, dimostra sempre una forte voglia di vivere e una grande felicità.

Queste testimonianze smentiscono i presupposti che stanno alla base delle DAT e dell’eutanasia (anche omissiva), ossia che uno possa da “sano”, sapere in anticipo il suo atteggiamento di fronte ad una grave malattia. Smentiscono anche il fatto, come spesso si dice, che in coma e nello stato vegetativo “non ci sia niente da fare” e che il paziente sia come un “corpo morto”. Inoltre queste storie  raccontano che non ci sono vite “indegne di essere vissute”.

Max, Roberto, Pietro, Sara e Sylvie ci dimostrano invece la dignità di ogni vita, il coraggio nascosto delle persone comuni davanti alla malattia, e il fatto che convenga sempre vivere fino in fondo la propria vita.

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