No, l’Islanda non ha eliminato la sindrome di Down: ha eliminato le persone con la sindrome di Down: ecco la “nuova eugenetica”

di Don Shenan J. Boquet – 2 settembre 2017

“L’uomo […] in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa. In lui ha scolpito la sua immagine e somiglianza (cfr. Gn 1, 26), conferendogli una dignità incomparabile […]. In effetti, al di là dei diritti che l’uomo acquista col proprio lavoro, esistono diritti che non sono il corrispettivo di nessuna opera da lui prestata, ma che derivano dall’essenziale sua dignità di persona”.
(Papa San Giovanni Paolo II, Centesimus annus, 11)

Un recente servizio della CBS (Columbia Broadcasting System, emittente statunitense, n.d.t.) annunciava che l’Islanda è, come dicono loro, “sul punto di eliminare la sindrome di Down”. Ma come ha fatto l’Islanda a compiere questo apparente miracolo della medicina moderna? Se si scava dietro il titolo allegro, si scopre un vero vaso di Pandora colmo di orrori.
Immaginate questa situazione: un paese patisce un’improvvisa e diffusa epidemia di polio. Migliaia di persone sono colpite dalla terribile malattia, che uccide fino al 30% delle sue vittime e ne lascia molte di più invalide per sempre. Preoccupato per il diffondersi della malattia, il sistema sanitario sistematicamente raduna tutti i malati, e pratica loro tranquillamente un’iniezione letale.

Alla fine, non rimane in quel paese una sola persona ammalata di polio. Poi il governo pubblica in un comunicato stampa in cui si dice che ha “praticamente eliminato la poliomielite”.

Ebbene sì. Loro l’hanno fatto. Ma sicuramente il metodo lascia a desiderare.

A merito della CBS, va detto che il loro servizio non ha problemi ad affrontare apertamente la dura verità dietro il risultato apparentemente sorprendente dell’Islanda e pone anche alcune domande scomode che ricevono apertamente risposte sconcertanti.

Ormai avrete indovinato la ragione della diminuzione della sindrome di Down in Islanda: in quel paese l’esame prenatale per la sindrome di Down è quasi universale e quasi il 100% dei genitori di un bambino a cui è stata diagnosticata la sindrome di Down sceglie di abortire. In altre parole, l’Islanda non ha eliminato la sindrome di Down, ha eliminato le persone con la sindrome di Down.
Cosa triste e orribile, l’Islanda non è sola nel suo attacco contro la vita umana innocente. Alcuni studi rivelano che nove bambini su dieci ai quali è diagnosticata la sindrome di Down vengono abortiti – una statistica della quale non andare fieri! Molti paesi occidentali come gli Stati Uniti, la Francia e la Danimarca – la Danimarca raggiunge un tasso di aborti del 98% dei bambini non nati ai quali è diagnosticata la sindrome di Down –partecipano attivamente a questo atroce atto di discriminazione e omicidio.

La cosa sconcertante è che abbiamo raggiunto questo punto da poco.

Il movimento eugenetico, estremamente influente tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, ha avuto il suo logico epilogo pratico nelle camere a gas naziste, dove – per non dimenticare – sono stati eliminati non solo milioni di ebrei solo a causa del DNA e del patrimonio genetico “degenerato” ma anche decine di migliaia di persone considerate “inadatte”: epilettici, schizofrenici, sordi, ciechi, omosessuali, zingari e altro ancora.

Le fonti islandesi e il sito www.snopes.com (sito in lingua Inglese che si occupa di smascherare le cosiddette “bufale”, n.d.t.) hanno respinto alcune interpretazioni del rapporto della CBS, accusandole di essere “fuorvianti” in quanto suggerirebbero che l’Islanda starebbe portando avanti un programma eugenetico su mandato dal governo. Poiché in Islanda la legge dispone che le donne siano informate sugli esami per individuare la sindrome di Down, il governo non obbliga concretamente le donne a farli, né dice loro che cosa fare con i risultati.
Magra consolazione, o meglio, nessuna consolazione. Perché, per quanto un programma eugenetico imposto dal governo possa essere orribile, c’è di sicuro qualcosa di particolarmente atroce nel fatto che la mentalità eugenica sia penetrata così profondamente nella mentalità comune da rendere superflua la necessità dell’intervento del governo: al punto che a stento si trova una sola madre o un padre con abbastanza istinto materno o paterno lasciato a combattere contro lo spirito del tempo e ad accogliere incondizionatamente il proprio figlio, che sta per nascere, affetto dalla sindrome di Down per il semplice fatto che lui o lei è il loro bambino, “imperfezioni” e tutto il resto compreso.
Gli studi per la loro uniformità sono eccezionali: nonostante tutte le sofferenze fisiche e le privazioni apparenti che accompagnano la sindrome di Down, chi si trova in questa condizione è soddisfatto della propria vita in modo sconcertante e i suoi familiari lo amano in modo altrettanto sconcertante. In uno studio, un compatto 99% di chi vive con la sindrome di Down ha detto di essere “felice” della sua vita. (Mi chiedo: nella nostra epoca di depressione e ansia endemiche, quante persone “normali” potrebbero dire lo stesso?)

Un altro studio ha scoperto che il 99% dei genitori dei bambini affetti dalla sindrome di Down ha detto di amare il proprio bambino e il 97% ha dichiarato di essere “orgoglioso di loro”. E, cosa più interessante, il 79% “ha percepito che la propria prospettiva sulla vita fosse più positiva” grazie al loro bambino.
Se è così, perché allora in Occidente siamo così determinati ad eliminare i bambini con la sindrome di Down?

Nel 2009, in un discorso alla Pontificia Accademia per la Vita, Papa Benedetto XVI ci ha messo in guardia contro il sorgere di una “nuova eugenetica”. A differenza della vecchia eugenetica, che aveva preso di mira la persone a causa della loro razza o del gruppo di appartenenza, questa nuova eugenetica, “tende, quindi, a privilegiare le capacità operative, l’efficienza, la perfezione e la bellezza fisica a detrimento di altre dimensioni dell’esistenza non ritenute degne”.
In risposta a questo fenomeno, Benedetto ha detto:
“Ciò che si deve ribadire con forza è l’uguale dignità di ogni essere umano per il fatto stesso di essere venuto alla vita. Lo sviluppo biologico, psichico, culturale o lo stato di salute non possono mai diventare un elemento discriminante. È necessario, al contrario, consolidare la cultura dell’accoglienza e dell’amore che testimoniano concretamente la solidarietà verso chi soffre, abbattendo le barriere che spesso la società erige discriminando chi è disabile e affetto da patologie, o peggio giungendo alla selezione ed al rifiuto della vita in nome di un ideale astratto di salute e di perfezione fisica. Se l’uomo viene ridotto ad oggetto di manipolazione sperimentale fin dai primi stadi del suo sviluppo, ciò significa che le biotecnologie mediche si arrendono all’arbitrio del più forte”. (Benedetto XVI Discorso ai partecipanti alla XV Assemblea Ordinaria della Pontificia Accademia per La Vita, 21 febbraio 2009).

Oggi la gente è prudente nel fare un qualsiasi confronto tra un problema attuale e i crimini dei Nazisti. Il pensiero sembra essere che quello che i Nazisti fecero è stato così diabolicamente malvagio che dovrebbe restare in una sua categoria particolare e certamente non dovrebbe essere usato per porre fine prematuramente a un dibattito su un dilemma etico attuale.

Ma c’è un passaggio nel servizio della CBS che ti toglie il fiato. La corrispondente della CBS, Elaine Quijano, si trova nell’ospedale islandese dove avvengono la maggior parte delle nascite – e gli aborti – in Islanda. Sta guardando una bella cartolina con l’impronta di due piccoli piedi su di essa, una data, un’ora e le parole di una preghiera. La CBS spiega: “Queste sono le impronte del feto che è stato eliminato”.

Quijano sembra un po’ sorpresa dalla cartolina. “In America”, spiega a Helga Sol Olafsdottir, il cui lavoro consiste nell’assistere le donne nei momenti antecedenti la decisione di abortire o no, “penso che alcune persone sarebbero confuse dalla gente che chiama questo ‘nostro figlio’, dice una preghiera, o gli dice addio o riceve la visita di un prete, perché per loro l’aborto è omicidio”.

Olafsdottir si adira e risponde:

“Noi non vediamo l’aborto come un omicidio. Lo vediamo come una cosa che abbiamo fatto finire. Abbiamo fatto finire una vita potenziale che potrebbe avere avuto enormi complicazioni… prevenendo la sofferenza per il bambino e per la famiglia. E penso che ciò sia più giusto, piuttosto di considerarlo un omicidio – è così bianco o nero. La vita non è in bianco e nero. La vita è grigia”.

Eppure, ci sono quei due piedi. In bianco e nero!

Il servizio della CBS sull’Islanda comprende una commovente intervista con una donna islandese, poco più che trentenne, affetta da sindrome di Down. L’intervistatore le chiede cosa vuole dire agli spettatori del programma sulle persone con la sindrome di Down:
“È difficile per me parlare. La gente vede solo la sindrome di Down. La gente non mi vede”, risponde. Alla domanda su come ciò la fa sentire, aggiunge: “Non mi fa sentire bene. Vorrei che la gente vedesse che sono proprio come tutti gli altri”.

In un’epoca che si vanta della propria “tolleranza”, possiamo prestare attenzione alle esortazioni di Papa Benedetto e rifiutare la “nuova eugenetica” a favore del riconoscimento del valore e della dignità intrinseci di ogni essere umano, dal concepimento alla morte naturale.
Al di là delle circostanze o dei ragionamenti che si possono portare, la persona umana ha una dignità intrinseca e incommensurabile che scaturisce da un’unica realtà: la persona umana è essenzialmente una creatura di Dio, creata a sua immagine e somiglianza. Il diritto alla vita e i diritti umani non sono condizionati dal piacere o dalla volontà di un’altra persona – sia pur esso il genitore o un Principato; essi sono prerogativa di ogni persona per il fatto di essere umana, e sono universali, inviolabili e inalienabili.

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